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In questo Paese, un lavoratore autonomo di 75 anni continua a lavorare perché la sua pensione non basta nemmeno a coprire le spese di base.

La proposta di aumentare i contributi tra l’1% e il 2,5%, con un congelamento per chi fattura meno, riapre il dibattito. La testimonianza di un idraulico in pensione che continua a lavorare illustra la pressione sulle pensioni. Nelle ultime settimane, i contributi dei lavoratori autonomi sono tornati al centro del dibattito: prima per l’indignazione, poi per la rettifica del governo e ora per un nuovo aumento che rimane sul tavolo. Il contesto? Un aumento compreso tra l’1% e il 2,5%, con l’idea di congelarlo per chi guadagna meno.

Cosa comporta il nuovo aumento dei contributi per i lavoratori autonomi e perché riaccende il malcontento

La possibilità di un aumento, anche se moderato, arriva dopo giorni di proteste e messaggi di sollievo per la rettifica iniziale. Tuttavia, la proposta è ancora viva e tiene con il fiato sospeso una categoria che sente ogni euro come determinante a fine mese.

Ne saresti pienamente colpito o lo noteresti appena? Dipenderà dal reddito. La previsione è quella di congelare l’aumento per chi fattura meno, ma la preoccupazione persiste: qualsiasi aumento si somma in un contesto di margini ridotti.

Chi può essere più colpito e perché le loro pensioni tendono a essere insufficienti alla fine della loro vita lavorativa

Molti lavoratori autonomi finiscono per cercare entrate extra, perché le loro prestazioni non sono paragonabili a quelle di un lavoratore dipendente. Infatti, il 41% guadagna meno di 27.480 euro all’anno (2.290 euro al mese). E con un costo della vita medio di circa 1.000 euro, senza contare l’affitto, l’equazione si complica.

A ciò si aggiunge il carico fiscale: in media, destinano il 54,4% del reddito lordo all’IRPEF, all’IVA e ai contributi. Pertanto, un lavoratore autonomo che guadagna 30.000 euro netti all’anno può finire per destinare tra i 12.000 e i 16.000 euro a tasse e contributi. Quanto rimane quindi da risparmiare o da destinare alla propria pensione futura?

Prima di proseguire, andiamo al sodo con quattro punti chiave che aiutano a comprendere lo scenario attuale.

  • Aumento proposto delle quote tra l’1% e il 2,5%, con congelamento per chi fattura meno.
  • Il 41% dei lavoratori autonomi guadagna meno di 27.480 euro all’anno, reddito corretto.
  • Costo della vita medio di circa 1.000 euro al mese, escluso l’affitto.
  • Carico fiscale medio del 54,4% sul reddito lordo, pressione persistente.

Di conseguenza, non è raro che molti cerchino alternative di reddito o formule di risparmio per non dipendere solo dalla pensione pubblica.

La testimonianza di David e l’investimento per integrare una pensione limitata in un’azienda familiare

David, idraulico autonomo di 75 anni, continua a lavorare nella sua attività nonostante sia in pensione. Questo fenomeno non è eccezionale nelle attività familiari, dove il mestiere e la clientela sostengono uno stile di vita. Ha iniziato a lavorare in proprio a 24 anni e conosce bene gli alti e bassi del settore.

In un’intervista a La Linterna de COPE, ha riassunto perché ha deciso di investire durante la sua fase attiva: “Io e mia moglie abbiamo lavorato qui, mia moglie ha una pensione di 1.000 euro, io di circa 500, la metà, se non avessimo investito, sarebbe insufficiente”. Il suo messaggio è chiaro: senza quel cuscinetto, arrivare a fine mese sarebbe una strada in salita.

La conclusione? Per molti, combinare pensione, redditi residui dell’attività e investimenti è diventata una strategia di sopravvivenza più che un’opzione.

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