L’essere umano, per sua natura, è un essere sociale. Fin dalla nascita, ha bisogno del contatto con gli altri per svilupparsi, comprendere il mondo e costruire la propria identità. Tuttavia, quella stessa interazione che ci arricchisce può essere anche fonte di attriti, disaccordi e incomprensioni. Saper convivere non è sempre facile e spesso non disponiamo degli strumenti necessari per gestire i conflitti in modo sano. Con l’obiettivo di offrire una guida in questo campo, la psicologa Ángela Esteban ha condiviso sul suo account Instagram una serie di linee guida che aiutano a trasformare i disaccordi in opportunità di crescita personale e relazionale. «I conflitti non sono un segno di fallimento, sono una parte inevitabile e necessaria per imparare a relazionarci meglio», spiega la specialista, rivelando che il suo approccio si allontana dall’idea che discutere o avere divergenze sia qualcosa di negativo. Al contrario, propone di vedere queste situazioni come uno spazio in cui vengono messe alla prova la maturità emotiva e la capacità di empatia di ogni persona. L’importante, sostiene, non è evitare i conflitti, ma imparare a gestirli con intelligenza emotiva.
Strumenti per gestire i conflitti

Uno dei primi consigli della psicologa è quello di fermarsi prima di reagire. Nei momenti di tensione, l’impulso tende a dominarci e questo può portare a risposte impulsive che aggravano la situazione. «A volte, la cosa più urgente non è rispondere… ma prima controllarsi», avverte. Pertanto, suggerisce di prendersi qualche minuto per identificare ciò che si prova e ciò di cui si ha bisogno prima di parlare. Un esempio, secondo lei, potrebbe essere quello di riconoscere il proprio stato emotivo con onestà: “Sono così arrabbiata che non riesco ad ascoltare. Ho bisogno di qualche minuto per calmarmi prima di rispondere”. Questo piccolo gesto, che sembra semplice, può cambiare completamente il corso di una conversazione difficile.
L’esperta insiste anche sull’importanza dell’ascolto attivo, che definisce come «ascoltare per capire, non per rispondere». Come spiega, «ascoltare non significa aspettare il proprio turno per parlare, ma capire ciò che l’altro ti sta dicendo». In questo senso, consiglia di adottare un atteggiamento più curioso che difensivo: «Chiediti: cosa sta cercando di dirmi realmente? Qual è l’emozione che si nasconde dietro le sue parole?». Un esempio, sottolinea, potrebbe essere esprimere comprensione in questo modo: «Quando mi parli così, capisco che ti senti frustrato perché pensi che non ti stia ascoltando».
D’altra parte, sostiene che la comunicazione migliora sostanzialmente quando si utilizzano messaggi in prima persona. Questo tipo di formulazioni aiutano a evitare di incolpare l’altro e a concentrarsi su ciò che si prova. «Evita di incolpare, esprimi come ti senti e di cosa hai bisogno (facilita l’empatia)», aggiunge. Prima di parlare, è opportuno chiedersi: “Sto esprimendo le mie emozioni e i miei bisogni… o sto attaccando l’altro?”. Un esempio chiaro sarebbe dire: “Mi sento ignorata quando non mi chiedi la mia opinione”.
Un altro aspetto fondamentale è distinguere tra fatti e supposizioni, una confusione comune che genera numerosi malintesi. “Molte discussioni nascono da ciò che immaginiamo, non da ciò che è realmente accaduto”, sottolinea la specialista. Da qui l’utilità di chiedersi: “Sto parlando sulla base dei fatti o delle mie interpretazioni soggettive?”. La differenza può essere illustrata con un semplice esempio: Fatto: “Sei arrivato in ritardo”. Interpretazione: “Non ti importa di me”. Nel primo caso si espone una realtà; nel secondo, una congettura che può ferire e allontanare.
Un altro strumento fondamentale è riassumere e convalidare ciò che si è ascoltato, un gesto che dimostra empatia e comprensione. «Convalidare non significa dare ragione, ma riconoscere l’emozione provata dall’altra persona», spiega. A questo punto, propone di chiedersi: «Qual è l’obiettivo di ciò che ha detto? Come posso accogliere la sua emozione?». Un esempio potrebbe essere: «Quindi ti sei sentita ferita quando non ti ho avvisata, giusto? Capisco che ti abbia ferito. Non era mia intenzione, perdonami».
La psicologa ricorda anche che i conflitti non devono essere intesi come una competizione. «Un conflitto non si risolve se l’obiettivo è avere ragione. Non esistono “vincitori”», afferma. Invece di cercare chi ha più argomenti, invita a riflettere: «Cos’è più importante: avere ragione o capirci meglio e risolvere la questione insieme?». Come esempio, suggerisce di riformulare la conversazione in chiave di cooperazione: «So che entrambi vogliamo la stessa cosa: sentirci ascoltati e trovare una soluzione, concentriamoci su questo».
Superata questa fase, la specialista raccomanda di raggiungere un accordo o una soluzione che affronti la radice del conflitto. «Si tratta di trovare una soluzione, tenendo conto di entrambe le parti, e di imparare qualcosa», sottolinea. Prima di chiudere la questione, è opportuno chiedersi: “Cosa possiamo fare di diverso affinché questo non ci ferisca più allo stesso modo?”. Ad esempio: “Capisco che hai bisogno che ti avvisi con anticipo e io ho bisogno di flessibilità. Possiamo concordare che ti scriva prima se vedo che non ce la faccio, ti sembra giusto?”.
Infine, la psicologa sottolinea l’importanza di prendersi cura del legame dopo il conflitto. “Bisogna riparare il danno e avvicinarsi all’altro per rafforzare il rapporto dopo il conflitto”, sostiene. Chiedersi “Ho riconosciuto la mia parte di responsabilità nel conflitto? Cosa possiamo fare per avvicinarci?” è, secondo l’esperta, fondamentale per ripristinare la fiducia. E, come esempio, propone: “Mi dispiace per come ti ho parlato prima, voglio comportarmi meglio. Ma grazie anche per avermi ascoltato, non è stato facile per entrambi”.
In definitiva, come sottolinea la psicologa, i conflitti non sono un ostacolo da evitare, ma un’opportunità per conoscerci meglio, imparare a comunicare e rafforzare i nostri legami. Con gli strumenti adeguati, anche le conversazioni più difficili possono diventare un ponte verso una relazione più sana e autentica.
