Il surriscaldamento dei chip rappresenta, da anni, il principale limite al pieno sfruttamento del potenziale dell’informatica avanzata. Di fronte a questa realtà, la startup Maxwell Labs, con sede a St. Paul (Minnesota), ha sviluppato un’innovativa tecnologia di raffreddamento fotonico che promette di cambiare il modo in cui viene gestita la temperatura dei processori nei data center e nelle infrastrutture di intelligenza artificiale. Questa soluzione utilizza laser e materiali appositamente progettati per convertire il calore in eccesso in luce, dissipandolo in modo preciso ed efficiente. Questo progresso potrebbe trasformare sia l’architettura dei chip che l’infrastruttura digitale globale, consentendo sistemi più performanti e a minor consumo energetico.
La sfida termica dell’informatica moderna

I chip attuali, dotati di decine di miliardi di transistor, devono affrontare un limite noto come “silicio oscuro”. Fino all’80% dei transistor deve rimanere inattivo per evitare di raggiungere temperature estreme, vicine a quelle della superficie del sole.
A causa di questa restrizione, sorge l’impedimento di sfruttare tutta la capacità di elaborazione disponibile, il che si traduce in un utilizzo parziale della tecnologia esistente.
Per decenni, l’industria ha cercato di combattere il surriscaldamento con ventilatori e soluzioni di raffreddamento a liquido sempre più sofisticate. Tuttavia, questi sistemi estraggono solo il calore dalla superficie, lasciando intatti i punti caldi che sorgono in modo localizzato e dinamico durante le attività intensive. Il risultato è un notevole colli di bottiglia termico che frena l’evoluzione del calcolo ad alte prestazioni.
Il principio alla base del raffreddamento fotonico
Lo sviluppo di Maxwell Labs propone una soluzione radicale: invece di spostare il calore, farlo scomparire. La sua tecnica di raffreddamento fotonico utilizza laser per indurre la cosiddetta fluorescenza anti-Stokes.
Utilizzando materiali drogati con ioni di itterbio, il sistema assorbe fotoni a bassa energia per emettere luce ad energia superiore, estraendo il calore dal materiale stesso e riducendo così direttamente la temperatura.
Questo meccanismo fisico, dimostrato per la prima volta nel 1995, sfrutta l’energia termica per convertirla in luce, che può essere evacuata e, eventualmente, trasformata nuovamente in elettricità. Il processo consente di raffreddare punti caldi con una densità termica di migliaia di watt per millimetro quadrato, superando ampiamente le tecniche di raffreddamento tradizionali.
Progettazione della piastra fredda fotonica
Il fiore all’occhiello di questa innovazione è la piastra fredda fotonica, una struttura miniaturizzata situata sul substrato del chip. Integra un accoppiatore che dirige la luce laser verso la regione di micro-raffreddamento, un estrattore dove avviene la fluorescenza anti-Stokes, un riflettore posteriore per impedire alla luce di raggiungere il chip e un sensore termico incaricato di rilevare i punti caldi.
Quando il sensore rileva un aumento della temperatura, il sistema attiva il laser in quella zona specifica, avviando il processo di raffreddamento solo dove necessario.
Ottimizzando il design, che include la geometria dell’accoppiatore e la concentrazione dei dopanti, gli ingegneri di Maxwell Labs, insieme all’Università del New Mexico, all’Università di St. Thomas e ai Sandia National Laboratories, sono riusciti a costruire una matrice di piastre fredde di appena un millimetro quadrato. Questo sistema può essere posizionato su diverse unità di elaborazione, consentendo di estrarre il calore in modo localizzato ed efficiente.
La prossima generazione di queste piastre ridurrà ulteriormente le loro dimensioni, arrivando a 100 x 100 micrometri, e sarà dotata di reti fotoniche integrate che orienteranno la luce laser esattamente sui punti caldi che lo richiedono.
Vantaggi rispetto ai metodi convenzionali
Il raffreddamento fotonico si distingue per tre vantaggi fondamentali:
- Elimina il problema del silicio scuro, poiché raffredda in tempo reale solo le zone critiche, consentendo il funzionamento simultaneo di più transistor e garantendo un maggiore parallelismo computazionale.
- Mantiene la temperatura del chip al di sotto dei 50 °C (122 °F), mentre i chip attuali possono raggiungere tra i 90 e i 120 °C (194 e 248 °C) nelle loro aree più calde.
- Facilita l’integrazione tridimensionale dei chip, dotando ogni strato di una propria piastra fredda.
Inoltre, i calcoli di Maxwell Labs mostrano che questa soluzione, combinata con il raffreddamento ad aria, può ridurre il consumo energetico totale di oltre il 50% rispetto ai sistemi attuali, con prospettive ancora migliori per i chip futuri.
Un aspetto particolarmente interessante è che la luce emessa può essere recuperata tramite fibra ottica e riconvertita in elettricità, raggiungendo tassi di recupero energetico superiori al 60%.
Sfide e prossimi passi verso l’adozione

Nonostante il suo potenziale, l’adozione su larga scala del raffreddamento fotonico dipende dalla risoluzione di alcune sfide:
- Sviluppo di nuovi materiali con maggiore efficienza per il raffreddamento laser, che consentano di ampliare la gamma di applicazioni e ridurre i costi.
- Miniaturizzazione avanzata delle piastre fredde, insieme a progressi nell’ingegneria ottica e nella lavorazione dei materiali.
- Integrazione nel pacchetto di chip, che richiederà la collaborazione tra produttori e sviluppatori di sistemi di raffreddamento, definendo nuovi standard per le interfacce ottiche e le metriche di prestazione termica.
L’azienda stima che l’implementazione iniziale di questa tecnologia avverrà nei sistemi di calcolo ad alte prestazioni e nei cluster di intelligenza artificiale prima del 2027. Tra il 2028 e il 2030 è prevista una più ampia diffusione nei data center, con un’adozione generalizzata prevista dopo il 2030.
Proiezioni per il futuro dell’informatica
L’impatto del raffreddamento fotonico può essere trasformativo. Eliminando le restrizioni termiche, i processori funzioneranno a frequenze più elevate e con maggiore parallelismo, consentendo il proseguimento dei progressi dettati dalla legge di Moore.
L’efficienza tecnologica, unita al recupero di parte dell’energia dissipata, trasforma la gestione termica in una nuova opportunità per ottimizzare l’uso delle risorse energetiche per il settore.
